I Ghosts Padova stanno vivendo un vero e proprio magic moment. Dopo 11 partite sono attualmente al secondo posto in classifica con 23 punti (in coabitazione con Ferrara, che ha una partita in meno) con 7 vittorie nei tempi regolamentari, 1 vittoria all’overtime e solo 3 sconfitte (contro Vicenza, Milano e Ferrara).
In pochi, se non nessuno, avrebbero scommesso in estate su questo posizionamento in classifica di una squadra che in estate ha visto partenze eccellenti quali quella di coach Marobin e di giocatori chiave come Facchinetti, Nicolò Pace, Virzì, Rossetto, Valente solo per citarne alcuni.
Una squadra che, principalmente per motivi economici, ha deciso finalmente di puntare tutto sui propri giovani e senza alcun rinforzo. Scommessa pienamente vinta, a quanto si vede dal campo.
Ne abbiamo parlato in un’intervista con il coach asiaghese Roberto Cantele, da molti anni alla guida di formazioni giovanili dei Ghosts e quest’anno promosso anche alla guida della prima squadra.
Se le avessero detto di essere secondi in classifica a questo punto della stagione, ci avrebbe creduto?
“Non ci avrei creduto. Per me non è un secondo posto, è un momentaneo ottimo risultato frutto di un gran lavoro fatto dai ragazzi, dalla squadra, dal collettivo ma ricordiamoci che se il Milano non avesse avuto quel meno 6 non saremmo secondi ma terzi o quarti che sarebbe comunque un ottimo piazzamento. Sarebbe da pazzi dire che non siamo contenti ma le somme si tirano alla fine. Fa bene per esempio aver perso con il Ferrara a Ferrara perchè secondo me l’abbiamo persa noi, e questo è un input a rimanere con i piedi per terra e lavorare, lavorare, lavorare. Siamo non felici, felicissimi dell’anno che stiamo facendo ma è ancora troppo presto per considerare la stagione positiva. I ragazzi sono giovani, potrebbe essere facile perdere la concentrazione e cominciare ad inanellare una serie di risultati negativi in fila.
La mia esperienza con il settore giovanile è ricca di grandi annate, con tante vittorie, in cui poi le sconfitte sono arrivate al momento decisivo e ci hanno lasciato con un pugno di mosche in mano”.
Negli ottimi risultati di quest’anno quanto lavoro c’è di coach Cantele e quanto di coach Marobin?
“Con coach Marobin ho un ottimo rapporto, siamo buoni amici. Ho portato avanti il lavoro che si è fatto in questi anni e personalmente sono contento di poter dare piena fiducia ai ragazzi del posto, rinunciando alla linea di esterni che veniva da fuori Padova. Insieme alla società abbiamo deciso di dare tanto spazio agli elementi provenienti dal vivaio e affidare la porta a Laner. Nessuno straniero, nessuno a gettone ed anzi, abbiamo integrato al gruppo alcuni junior (Masiero, Ballan, Pietrobon, Mengato solo per citarne alcuni, ndr) di Legnaro, che ringrazio, che ha dimostrato di credere in ciò che sta facendo Padova.
Alla proposta della società fattami in estate, la mia risposta è stata: “Non ci sono stranieri? Bene, allora vengo”.
Ho sempre creduto, specie nel settore giovanile, che anche agli innesti esterni debbano essere applicate le stesse regole che si riservano ai ragazzi della propria società, a partire dal pagamento dell’eventuale quota di associazione e obbligatorietà di presenza agli allenamenti. Sennò non ha senso”.
Quale può essere l’obiettivo di questa stagione?
“Non cerco un risultato in particolare. L’obiettivo prima di tutto è divertirsi, poi il resto vien da sè. Noi stiamo giocando praticamente con poco più di un under 20 ed il più grande è Laner del 1996. A parte Milano e Vicenza credo che non ci siano squadre a noi superiori e nel girone di ritorno ci saranno ben 4 scontri diretti che non vediamo l’ora di giocare. Non mi sento di indicare un posto in classifica, sicuramente ci vorranno ancora parecchi anni prima di poter ambire a qualche risultato in particolare. L’obiettivo è la crescita che si ottiene sia in partita che in allenamento. Ci si gioca il posto ad ogni partita e i ragazzi sono sempre spinti a dare il massimo per meritarsi il posto in campo”.
C’è un aspetto in particolare del quale è particolarmente orgoglioso?
“Me ne prendo il merito: l’affiatamento dello spogliatoio e la coesione fra il nucleo storico ed i nuovi arrivati. In questi casi unire le due “anime” della squadra è sempre stato abbastanza rognoso, in ogni spogliatoio. Ecco, in questo credo di essere molto bravo”.
Come è il rapporto con la società? Un rinnovo per la prossima stagione è da considerare scontato?
“Ottimo, penso si possa continuare ma nella vita mai dire mai. A volte ci vuole poco per rovinare tutto, ovviamente spero che non succeda. A me piacerebbe avere qualche anno per poter lavorare e tracciare una rotta. Vorrei non fosse la favola di una stagione ma un progetto che dura negli anni”.
C’è un giocatore in particolare nell’attuale serie A che si sente di indicare come esempio per i giovani?
“Mai visto un giocatore da solo che possa essere da esempio. Non c’è un giocatore che può essere un faro, c’è un organico.
A tal proposito voglio citare un esempio, visto che c’è sempre nella propria carriera da giocatore un anno che ti resta nel cuore in particolar modo. Io ho vinto gli Europei juniores (hockey ghiaccio), dal gruppo B andammo al gruppo A. Era il 1992. Non ci davano neanche 100 lire di fiducia ma avevamo un gruppo che non poteva perdere. Ad alti livelli è importante anche un singolo cambio dell’ultima riserva e solo un grande gruppo può fare la differenza. Quell’anno eravamo talmente uniti da sentirci imbattibili”.