E’ stato per anni il più indiscusso campione dell’hockey in line italiano. Il giocatore racconta ad Hockeyinlineitalia i suoi ricordi più belli, quelli più brutti, i retroscena della sua partenza e le sue impressioni sul movimento italiano. In chiusura incorona Emanuele Banchero come suo erede
di RICCARDO VALENTINI
Claudio Mantese lascerà l’Italia: ormai è assodato, il talento italiano che per anni ha fatto le fortune degli invincibili Asiago Vipers ed ora ha cominciato a collezionare scudetti con il Milano, andrà per motivi lavorativi in Brasile e darà quindi quantomeno un arrivederci all’hockey in line italiano. Mantese con la maglia dell’Italia numero 5 ha fatto anche entusiasmare gli appassionati italiani di hockey in line del nostro paese, con gli azzurri che negli ultimi tempi dopo anni di bocca asciutta hanno cominciato a vincere medaglie (argento a Roccaraso e argento ai World Games di Cali su tutti).
Mantese ha rilasciato ad hockeyinlineitalia una approfondita intervista.
Sappiamo che andrai in Brasile per la tua azienda, il Quanta. Quanto sarà lontano dal nostro paese?
“Un’offerta lavorativa all’estero è un’opportunità che avevo sempre sognato e per la quale sono enormemente grato al Quanta. Si parla di almeno un anno e mezzo o due, poi si vedrà più avanti. La partenza è prevista per gennaio”.
Sport e lavoro: quanto è stato importante per lei essere un giocatore del Milano in chiave lavoro? Tornerà fra le fila del Quanta per i playoff?
“Nei miei accordi con Milano c’era anche la possibilità di avere un colloquio con l’azienda che è legata alla squadra di hockey (Mantese è laureato in Giurisprudenza, ndr); a quanto pare sono piaciuto ed ho iniziato lavorare prima per la filiale di Milano e poi per quella di Vicenza, nell’ambito delle risorse umane. Per i play off non so, io sono a disposizione dell’azienda e quindi farò ciò che mi sarà chiesto. A me giocare piace e quindi è ovvio che se venissi chiamato per giocare la post season sarei a disposizione. L’ultima parola però non spetta a me, il lavoro è una priorità”.
Le mancherà l’hockey giocato? Quali sono i suoi ricordi più belli?
“Sicuramente. L’adrenalina, la competizione, il clima prima delle gare importanti… sono tutte cose che mi mancheranno parecchio ma nella vita di ogni uomo ci sono delle priorità ed arrivati a questa età il lavoro è necessariamente al primo posto. Sono in contatto con una squadra brasiliana e se il lavoro me lo consentirà andrò volentieri a fare due tiri con la squadra del posto, ovviamente in maniera del tutto non impegnativa. Non so se il mio sarà un addio o un arrivederci, questo solo il tempo potrà dirlo”.
E con la Nazionale invece? Anche quello è un capitolo chiuso?
“Penso proprio di sì. Ho parlato con il ct Cristian Rela e gli ho comunicato la mia situazione. Credo che in questi anni sia stato fatto tanto e che il gruppo che è partito da Beroun, arrivando fino all’argento di Roccaraso, non sia da buttare, anzi, credo che sia da ringraziare per il grande impegno e la professionalità con il quale ha affrontato queste competizioni. Un ricambio generazionale può andar bene, ed in questo senso condivido la scelta di avere in posizioni importanti persone estremamente valide come Gianluca Tomasello e Cristiano Sartori, ma credo che questo processo non vada forzato troppo. C’è chi ha sacrificato ferie e dato l’anima per la maglia azzurra, queste persone vanno rispettate”.
Passano invece ai ricordi che l’hockey in line le ha dato, quali sono i momenti più belli e quelli più brutti della sua carriera?
“Nell’ambito dei club mi piace ricordare la prima Coppa dei Campioni vinta a Bassano con l’Asiago Vipers e l’ultimo scudetto ottenuto con il Milano; non era facile ma ci siamo riusciti comunque. Con la Nazionale le due prestigiose medaglie d’argento ottenute contro il pronostico generale.
Fra i momenti brutti invece annovero la finale di Champions persa contro il Rethel con l’Asiago Vipers: eravamo in vantaggio 3-0 a fine primo tempo e poi abbiamo subito la rimonta fino al 4-3. Un brutto momento è stata anche la fine dei Vipers, non della mia storia con loro ma proprio della squadra in generale”.
Si evince dalle sue parole dell’acredine nei rapporti con il responsabile del settore tecnico Fabio Forte. Come mai?
“Per anni ho creduto di essere un suo amico ed invece ho scoperto che non era così. Spero che l’apporto che lui possa dare al movimento sia costruttivo, ma lo spero per il movimento non per la sua persona. Forte è una persona molto intelligente ma nei miei confronti si è comportato molto male. Con il Milano invece c’è stato tutto un altro rapporto, a loro non posso che dire grazie e complimentarmi per la grande professionalità del club”.
Come vede invece in generale il movimento hockey in line italiano?
“Non sono ottimista: questo sport secondo me ha grandi potenzialità di sviluppo che però rimangono inespresse da ormai troppo tempo. Ci si lamenta degli arbitri e delle istituzioni, ma i primi non sono altro che espressione del movimento, e quindi come esistono ufficiali di gara scarsi esistono anche allenatori scarsi, dirigenti scarsi e giocatori scarsi, mentre le seconde hanno le loro responsabilità ma non sono la causa di tutti i mali. Negli anni c’è stata un’assenza di progettualità, idee poco lungimiranti e un grande spreco di soldi. Certo, esistono anche le realtà virtuose, ma mi sembra che siano in pochi a remare nella giusta direzione”.
Cosa manca secondo lei per fare il salto di qualità?
“I capisaldi dovrebbero essere coordinazione fra le varie società, miglioramento del livello dei tecnici ed investimenti in promozione. Non sono di certo cose che scopro io ma mi sembra che fino ad oggi questi aspetti siano stati troppo sottovalutati”.
Un’ultima domanda: chi può essere il suo erede?
“Secondo me il nuovo campione dell’hockey in line italiano, trascinatore della Nazionale e punto di riferimento per il movimento può essere Emanuele Banchero. Questo ragazzo ha tutto per fare bene ed è molto più forte di quanti in tanti pensano”.